Chi è il facilitatore?
Il nome stesso svela la sua missione, il suo compito: facilitare il lavoro del gruppo affinché possa raggiungere l'obiettivo preffisato.
"In Francia viene mirabilmente definito fluidificatore. Si propone come aiuto, attento a valorizzare tutto ciò che può contribuire a trovare soluzioni e non tanto a creare nuovi problemi al cliente", un profeta dell'apprendimento esperienziale.
"Gli unici apprendimenti seri, vale a dire utili per la vita delle persone, sono quelli realizzati attraverso la scoperta, lo stupore, la gioia, l'amore".
Il suo scopo, paradossalmente, è quello di diventare "inutile", di far crescere il gruppo in maniera che, ad un certo punto, non abbia più bisogno di lui.
Il facilitatore non è un animatore turistico, né un docente in cattedra, né un formatore esperto anche se è auspicabile però che abbia nozione delle competenze tipiche di queste figure.
Quella del facilitatore è una nuova professione, una figura variegata e complessa dotata di molteplici doti e abilità.
Innanzitutto deve avere una buona capacità di ascolto e di relazione con le persone, deve capire che tipo di gruppo si trova davanti, deve saper instaurare un clima creativo avendo ben presente quale ruolo giochino le emozioni e i bisogni delle persone.
Non deve spiegare, deve far sentire.
Una seconda qualità è la capacità di analisi e di sintesi che gli consente di comprendere la natura del problema su cui lavorare: il gruppo sta lavorando su un processo di soluzione di un problema? Sul miglioramento di un prodotto e sul suo posizionamento? Sulla soluzione di un conflitto? Su un nuovo concetto da creare? Deve saper dare chiaramente le consegne al gruppo, definire le regole e farle rispettare.
Il facilitatore deve possedere intuizione, capacità d'improvvisare e di adattarsi rapidamente ai cambiamenti: spesso, infatti, il gruppo si muove velocemente da un concetto all'altro, da una direzione ad un'altra.
Il facilitatore deve saper guidare il cambiamento senza influenzarlo, deve saper rilanciare il gruppo con energia così come deve saper frenare l'impeto quando necessario.
Il facilitatore deve saper sostenere l'ansia dell'ignoto: ogni gruppo, ogni progetto è una nave che salpa in mare sconfinato. Naturalmente ha una meta, ma non sa quando e dove la troverà. E questo può generare ansia, preoccupazione.
La sua dote migliore comunque è l'esperienza: il suo metodo è induttivo, parte dall'ipotesi che quella tecnica sia la migliore, e solo provandola saprà se è vero. E' l'esperienza che gli farà scegliere di volta in volta lo stile da utilizzare, direttivo, non direttivo, partecipativo.
Quella del facilitatore è una figura professionale sulla quale è necessario investire: un buon facilitatore infatti può fare la differenza in un gruppo creativo fin dall'inizio, quando si tratta di discutere con il cliente del suo problema e di tracciare il percorso da fare.
Affidarsi ad un facilitatore inesperto può portare il gruppo al fallimento.
Affidarsi ad un facilitatore esperto e competente garantisce di partire col piede giusto e di arrivare sicuramente a destinazione.
Davide & Gianni
domenica 10 febbraio 2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Molto interessante!
Qual'è il percorso formativo e professionale ideale del facilitatore esperto?
Posta un commento